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Lot # 1059 - Francesco Alidosi (1455-1511) cardinale di Pavia (1505), legato di Bologna e della Romagna (1508). Medaglia per la nomina a Cardinale Legato di Bologna (1508). D/ FR ALIDOXIVS CAR PAPIEN BON ROMANDIOLAE Q(VE) C LEGAT. Busto a destra, con berretto e mantellina. R/ HIS AVIBVS CVRRVQ(VE) CITO DVCERIS AD ASTRA. Giove, con fulmine, seduto su un carro trainato da due aquile; all’esergo, segni zodiacali dei Pesci e del Sagittario. Arm. II, 116, 45; Hill, Corpus 610; Hill-Pollard, Kress 186; Pollard, Bargello I 133. AE. 61.00 mm. Opus: Scuola bolognese dopo il Francia. RR. Foro di appensione. Lieve difetto di fusione nel campo del rovescio. Bellissima fusione originale, dall'incantevole patina. SPL. Francesco Alidosi fu Cardinale, discendente della famiglia imolese degli Alidosi; fu creato da Giulio II, di cui era stato segretario, vescovo di Mileto (1504), poi di Pavia e cardinale (1505), e legato di Bologna (1508) ove la sua durezza rinfocolò l'avversione dei partigiani dei Bentivoglio. Il 7 ottobre 1510 venne arrestato da Francesco Maria I della Rovere, duca d'Urbino e comandante delle forze papali, con l'accusa di cospirazione con i francesi; Giulio II rigettò le accuse e lo promosse vescovo di Bologna, carica che l'Alidosi sommò a quella di legato pontificio. Nel maggio del 1511 Bologna fu conquistata dai francesi e l'Alidosi fu costretto alla fuga verso Castel del Rio. Recatisi l'Alidosi e il della Rovere quasi contemporaneamente a Ravenna per discolparsi con Giulio II, questi accettò le spiegazioni del vescovo, ma si rifiutò di ascoltare il duca, il quale, ritenendo l'Alidosi responsabile del contegno del pontefice e esasperato per i vecchi rancori, affrontò il cardinale in una strada di Ravenna e lo uccise il 24 maggio 1511. L’Alidosi protesse letterati e artisti come Erasmo, Michelangelo e Raffaello, che ne dipinse il ritratto (museo del Prado, Madrid).
Lot # 1062 - Pier Luigi Farnese (1545-1547). Medaglia, c. 1547. D/ P LOYSIVS FAR PAR ET PLAC DVX I. Busto barbuto a destra, indossa corazza e mantello; sotto, Δ. R/ AD CIVITAT DITIONISQ TVTEL MVNIM EXTRVCTVM. La cittadella fortificata di Piacenza. Arm. I, p. 222, 7; Attw. 954; Pollard, Bargello III 781. AE. 37.50 mm. Opus: Gianfederico Bonzagna. RR. Foro. Fusione originale. qSPL/Bel BB. Alcuni progetti per la nuova fortezza erano stati vagliati da Pier Luigi sin nella primavera del 1545, quando ancora la città faceva parte della Legazione pontificia Cispadana. Il successivo 10 ottobre egli aveva emanato un editto affinché fossero liberati gli spazi antistanti un miglio dalle mura cittadine. Nel contempo, aveva promosso la redazione di un primo progetto, di cui presero visione sia Michelangelo Buonarroti sia Antonio da Sangallo nel novembre 1545. I propositi di iniziare i lavori all’avvio, inizialmente, erano falliti per il rifiuto di Paolo III di finanziare l’opera; solo nella primavera 1547 il papa diede il suo assenso: il nuovo progetto, in forma pentagonale, fu opera di Sangallo, mentre Domenico Giannelli assunse la direzione dei lavori. I lavori iniziarono nell’aprile 1547: il monastero di S. Benedetto dovette essere demolito; la prima pietra fu posta il 23 maggio. Tutte le successive fasi di realizzazione ebbero un ritmo serrato, sia per la cortina, sia per i baluardi, ma Pier Luigi non poté vedere la conclusione di tanti sforzi. Contro di lui, infatti, si preparava una congiura. [Dizionario Biografico degli Italiani Treccani on-line, s.v. Pier Luigi Farnese, duca di Parma e di Piacenza].
Lot # 1076 - Accademia degli Sfaccendati di Ariccia. Medaglia 1672, con bordo modanato. D/ VIM PROMOVET INSITAM entro corona di quercia. Al centro, arco sciolto con quattro frecce; sotto, GLI SFACCENDATI scritto su nastro. R/ MITTIT ARICIA PORROS. Veduta della piazza di Ariccia con la Chiesa dell'Assunta sulla destra e palazzo Chigi a sinistra; il tutto entro corona di quercia. Petrucci, F. Giovan Francesco Travani, in 'L'Ariccia del Bernini', Ariccia 1998. Golzio, V., Documenti artistici sul Seicento nell'archivio Chigi, 1939, pp. 364-365. Lefevre, R. Accademici romani del '600: gli Sfaccendati, 'Strenna dei romanisti', XVIII, 1960. AE. 84.50 mm. Opus: Gioacchino Francesco Travani. RRRR. Probabile disegno di Gian Lorenzo Bernini. SPL. Splendida medaglia barocca, estremamente rara, fusa in sei esemplari, sconosciuta a tutti i principali repertori. Se ne ha notizia in F. Petrucci, Giovan Francesco Travani, 1998, p. 109: ' Si tratta di un eccezionale esemplare in bronzo della rarissima medaglia fusa da Gioacchino Francesco Travani (Roma 1634-1675) per il Card. Flavio Chigi nel 1672 in occasione della rappresentazione nel Palazzo dell'Ariccia della Favola drammatica per musica 'La sincerità con la sincerità ouero il Tirinto', allestita dall'Accademia degli Sfaccendati con scenografie di Carlo Fontana. Allo stato attuale se ne conosce soltanto un'altra versione bronzea di minor qualità presso il Medagliere della Biblioteca Apostolica Vaticana, che appare comunque essere una rifusione successiva, e una racchiusa in cornice. I pagamenti pubblicati da Golzio e più estesamente da Lefevre, riguardano in un conto del 10 gennaio 1673 l'ingente somma percepita dal Travani di complessivi 1095 scudi per la fornitura di nove esemplari in oro, venti d'argento e sei in rame -cioè bronzo-'. Come ritiene Lefevre, le medaglie d'oro furono probabilmente destinate ai nove membri del direttivo dell'Accademia degli Sfaccendati, mentre quelle in argento andarono forse a vari ospiti illustri. Sino ad oggi non è emersa alcuna medaglia in oro e in argento, mentre presso il 'Medagliere' della 'Spetiaria e Libraria' dell'Aricca (nel 1674 costituito da 204 medaglie. B. A. V., A. C., n. 2899-2901) ne era conservata una in bronzo dispersa assieme al resto della raccolta con la vendita Sotheby's del 14 maggio 1975 a Firenze. Il Travani ebbe 60 scudi anche 'per la fatica delli modelli fatti con la prospettiva della Riccia e con festone di quercia al dritto et anco al roverso delle quattro frezze', compresa 'la cornice saldata e tornita' che circonda la medaglia. L'iscrizione sul rovescio si riferisce al passo di Ovidio che descrive uno dei prodotti agricoli più noti dall'antica Ariccia, città latina ed importante municipio romano patria della famiglia materna di Augusto: 'Mittit praecipuos nemoralis Aricia porros' (Fast. lib I). L'interpretazione invece del motto posto al D/ della medaglia, è fornita dal testo introduttivo del libretto del Tirinto: '...se ella si compiacerà di considerare l'arco della nostra impresa, troverà, che non sta appeso per marcire; ben sì per tornare sempre, che bisogna al proprio uso. Così noi col distaccamento ad tempus delle solite cure, non intendiamo altro, che di ristorar l'animo per applicarlo poi più vigorosamente a quelle. Et acciò che il Mondo vegga, che anche l'ozio suggerisce sentimenti di virtù...' (cfr. capitolo 'Libri' in Petrucci, 1998). Il palazzo Chigi di Ariccia rappresenta un esempio unico di dimora barocca rimasta inalterata nei secoli, a documentare il prestigio di una delle più grandi casate papali italiane. Trasformato in una fastosa dimora barocca da Gian Lorenzo Bernini, oggi è adibito a museo ed è centro di molteplici attività culturali.

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